sabato 16 gennaio 2016

La prima Scintilla: Photosphere


La prima volta che scoprii il mio potere ero a casa, nella mia camera nel pieno autunno, una serata particolarmente profumata come se gli ultimi scampoli di quel tiepido calore estivo fossero agli sgoccioli. 
Nessun momento eclatante. 
Non un'esplosione, un lampo abbagliante, o una figura mitologica scesa dalle nuvole, ma ero felice, questo sì. 
Il cucciolo che avevo trovato nella tagliola del bracconiere stava leggermente meglio e sembrava dare segni di ripresa. Ero davvero al settimo cielo, quando presi il mio barattolo di vetro che io chiamavo pozzo dei desideri forse per ringraziare di aver accolto le mie preghiere.
La luce brillò in esso come una piccola lanterna e... andò in mille pezzi perchè non è una lucciola innocente, ma la sua energia aveva una solidità d'impatto decisa e forte.
Osel era stupita, ma fiera di me.
Non sembrava turbata da ciò che ero riuscita a fare.
Era destino che mi avesse chiamata Sarangerel, che in tibetano significa Luce della Luna. Non aveva paura di me, ero come predestinata ad essere una Guerriera della Luce. Mi strinse a sè e mi disse che il mio percorso era illuminato, ispirato, abbagliante, ma irto di difficoltà. Eppure mai dovevo dubitare di me.
E' stata la prima a credere in me e subito dopo venne Tului.
Bat non la pensava così. All'inizio anche lui si mostrò stupito, poi nel suo cuore crebbe l'invidia, perchè era come se gli avessi rubato il suo stesso destino, lui giovane destinato al Tempio Shaolin, addestrato al tempio sin da tenera età.
Non mi accorsi di quanto rancore covava. Ero solo felice di aver scoperto la mia lucciola, così la chiamavo.
L'addestramento di Tului non cambiò, non era necessario, e continuai a meditare ore e ore durante il giorno, ad esercitare il corpo, rendendolo flessuoso, armonioso e in pieno equilibrio per meglio sostenere il mio dono luminoso.
Apprendevo molto lentamente ogni singolarità di esso, mi esercitavo poco per volere e indicazione del mio maestro.
Bat era con me, a volte nemmeno lo vedevo, ma era nell'Ombra mentre io rimanevo nella Luce.
Un giorno era il tramonto e percorrevo la strada per tornare a casa, Bat era nei pressi del ponte di corda quando sbucò da dietro alcuna rocce. Ero contenta: Osel mi aveva fatto un dono raro, la cavigliera che appartenne a sua nonna, chiamata l'Eco del Tibet e che passava di generazione in generazione.
Mi si parò davanti accusandomi di essere la causa della sua più grande disgrazia. Lui doveva essere un guerriero della Luce non io, che oltretutto non ero originaria dell'Henan, ma provenivo dall'Occidente consumistico e malato.
Cercai di farlo ragionare, ma non prestava orecchio, non voleva vedere la verità: le Tenebre avevano invaso il suo cuore e corrotto l'anima. 
Quando si accorse che avevo alla caviglia l'unico cimelio della sua povera famiglia, perse le staffe e si avventò contro di me. Cercai di allontanarmi dal ciglio del baratro e da lui, ma mi afferrò per i capelli e dalla colluttazione una sfera di Luce si creò dal mio palmo colpendolo in pieno petto. Barcollò arretrando non accorgendosi di avvicinarsi pericolosamente al burrone e per lui... fu fatale. Il terreno franò e io lo guardai precipitare diverse decine di metri sul fondo valle. 
Ero agghiacciata e immobile, incredula per quello che era successo.
Quello che consideravo mio fratello aveva cercato di uccidermi.
Scoprii così il primo passo verso un cammino che non avevo scelto, ma che dovevo compiere.

venerdì 15 gennaio 2016

La ricerca dello Scopo

Mi manca tanto...
Il Tibet, con i suoi ghiacci silenziosi eppure con una voce assoluta e cristallina. Sono più di due mesi che sono tornata a Philadelphia cercando di recuperare una parte di me che Tului diceva essere essenziale per me.
L'aria è diversa, lo è il cielo, lo è la gente, lo è persino il sole che si leva nel cielo il mattino. Guardo dalla mia finestra e non vedo i monti, non sento il freddo che implacabile ti entra nelle ossa. Qui fa freddo, ma è un freddo malato, pesante e pesante. Non sento più la campana che al mattino dava inizio alla giornata dei monaci. 
La vita è intensa a Philadelphia, rumorosa, frenetica, ricca nel vero senso della parola, opulenta persino. Grattacieli che sembrano graffiare questo cielo d'acciaio pallido e crudele, infido però, non è il cielo di quella che ancora considero casa mia, e lo farò finchè avrò fiato in corpo. 
La nebbia che avvolge la città è come un sudario che nasconde le sue stesse ferite. 
Invece il tetto di nuvole su cui posavo gli occhi era micidiale, quasi spietato, ma onesto e pulito. La vita è dura anche qui, ma la menzogna nasconde molti aspetti che dove vivevo era impensabile di vedere. La schiettezza era l'arma più affilata che esisteva attorno al Tempio.
A volte penso di non essere tagliata per questa vita così ricca di intrighi politici e sociali, che per completare il cerchio come richiesto dal maestro Tului, perderò una parte preziosa di me stessa.
Sono disposta a tanto?
E' giusto o necessario?
Ancora non ho una risposta e se non la troverò in tempo non mi servirà conoscerla, perchè sarà troppo tardi.
Eppure qualcosa mi ancora a questa terra così contorta e corrotta. 
La Scuola.
Non tanto il mucchio di mattoni rossi, ma la grande famiglia che la costituisce: la Preside, i Classer, i docenti e infine persino gli allievi. Loro hanno delle fragilità che io vedo e tocco con mano quasi, e so di poterli sostenere, perchè forse perdere il Tibet significa nella mia vita avere uno scopo più nobile che meditare una vita per allenare mente, spirito e corpo.
Le loro vite sono fili preziosi da intrecciare e proteggere con la Luce.
Il Tibet non è perduto, ma sarà la casa a cui farò ritorno un giorno...

mercoledì 13 gennaio 2016

Umanità


Può suscitare pena un uomo che abbia dato tutto al proprio paese, persino la vita in senso letterale perchè è morto per quello in cui credeva, per divenire a sua volta un mostro per volontà di un gruppo di scienziati che volevano creare il soldato perfetto?
Ci chiamano mostri... e poi uomini, homo sapiens, si arrogano il diritto a comportarsi come dio, riportando indietro un uomo per manipolarlo con innesti cibernetici per avere il soldato perfetto.
Gli scopi?
Lucro...? aberrante.
Patriottico...? inverosimile.
Delirio di onnipotenza...? sterile.
Scienza...? Inutile.
Il loro esperimento si è rivelato la loro fine, ponendo termine alle loro vite, scatenando l'odio di una creatura che ora odia ciò che è diventato, per avere come unico obiettivo lo sterminio di chi non ha mai voluto altro che vivere serenamente.
Non ho idea di cosa passi per la mente sicuramente danneggiata in parte dalla morte di Nicholas West, ma una cosa è sicura: non è un mostro. Nessuno nasce tale. I mostri diventano quello che sono perchè altri uomini giocano con cose più grandi di loro dimenticando l'etica e la morale. Non sono una scienziata, so che i progressi non si ottengono con queste due, ma al di là di tutto se la scienza deve migliorare la condizione delle creature, umane e non, è giusto che pochi soffrano per i molti?
Per esperienza so che sono pochissimi a volersi immolare per i molti, di solito ci capitano, in modi orribili, persino disumani, a volte anche inutili.
Per me ci devono essere dei limiti o perdiamo quello che abbiamo di più caro al mondo: la nostra capacità di essere umani.
Nicholas West è colpevole di molte morti, ma di certo lui se avesse potuto scegliere non avrebbe provocato un simile massacro nell'Old City. 
Va fermato, al di là di tutto perchè altri innocenti non paghino per le colpe di chi voleva giocare a fare Dio.